Il nostro era un tempo malato, frammentato, depauperato dal troppo, un tempo totalmente disconnesso dai ritmi della natura e dalle poetica delle cose. L’astensione dal superfluo, ora, ci regala quel senso di continuità che la frenesia della vita ci aveva tolto.
Il senso del contatto, della presenza, dell’essere in quello che c’è, ora.
E’ come un ritiro, questo strano tempo. Un ritorno all’essenziale. Un tempo di sottrazione. Di concessioni alla lentezza. Il digiuno della parola, dove chi è solo può non parlare, e chi parla può farlo respirando di più. Lo sguardo che può depositarsi sulle cose senza l’affanno di doversi subito precipitare su altre.
Lasciarsi fare, coltivare il sorriso interiore, stare nella pena senza diventarlo.
Una straordinaria occasione di pratica.
(photo by Zsolt Kudich)
Give a Reply