Nell’accostare le posizioni dello yoga tantrico kashmiro, il “colare nell’asana” si riferisce alla postura interna del praticante. Troppo spesso, ciò che affascina e se-duce (conducendo a sé) dello yoga sono le pose “esterne” del corpo. Rimanendo a questo livello, tuttavia, perdiamo completamente il senso profondo della pratica yogica kashmira, che chiede in realtà di predisporsi a “perdite” progressive, piuttosto che ad acquisizioni e perfezionamenti di competenze corporee, mentali ed emozionali. Le nostre menti, sempre più proiettate in percorsi agonistici di varia natura, hanno dimenticato il conforto del “vuoto”, e nella folle corsa della vincita a tutti costi, confermano così a se stesse, che ha valore ciò che progredisce, non ciò che esiste. La vita diventa quindi un susseguirsi di obiettivi e sfide, ma in tutto questo affannarci a riempire spazi ed interstizi, diventiamo sempre più ingombri, ingombrati ed ingombranti. Così, l’atto di colare nell’asana, nel coglierne l’intrinseca poetica, diventa metafora di un incedere, nell’umano esistere, leggero e sensibile. Sfiorare invece che toccare, accarezzare e non più premere, scorrere attraverso senza rompere nulla – il corpo, il suolo, il cuore – riposando nel vuoto che segue ad ogni espiro.
Colare. Non abbiamo bisogno d’altro.
(guarda il mio video completo: https://youtu.be/yX1BU-AzSn0?si=ghwUB2HhIpQ0kTaK )
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